Case di Venezia: poesie dai muri

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Era chiusa da tempo questa casa, che ora misteriosamente scintilla con i suoi finestroni a vetro e piombo, sul Rio de Malcanton. Lo sguardo di chi entra in Venezia ci sbatte contro abbagliato e comincia ad assaporarne l’Orientalita’.
Poco più in la’, a Dorsoduro, uno dei figli ultimi e illustri della città, il poeta Diego Valeri, nato fuori Venezia ma non per questo meno veneziano, e’ ricordato dal muro della casa dove ha vissuto, al civico 2448, con un pensiero, inciso nella pietra, di meravigliante e malinconica bellezza, che dai muri traspira ed ha in comune con quelle vetrate, per meta’ aperte, la luce e la fragilità.

” Qui c’è sempre un poco di vento
a tutte l’ore di ogni stagione
un soffio almeno un respiro
qui da tanti anni sto io ci vivo
e giorno dopo giorno scrivo
il mio nome sul vento”

Diego Valeri 1975 – Comune di Venezia 1979

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Fontego dei tedeschi

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E’ una settimana che giro guardando le vetrine dei negozi di abbigliamento della mia città e di quelle più vicine : Mestre, Padova, Venezia… centri commerciali, boutique, anche le bancarelle dei mercati. A parte qualche negozio nei centri storici dove ho visto cose bellissime e carissime, e salvando come sempre Luisa Spagnoli, Marina Rinaldi e pochi altri, per il resto stracci, stracci e ancora stracci. Con un bel design ma pur sempre stracci. Andavano i pantaloni coi buchi, gli anni passati : quest’anno vanno i jeans completamente sfasciati, non recuperabili neanche per pulire i pavimenti. E poi si lamentano che non compriamo !…Invece mi son gustata l’occhio con le scarpe, per le quali ho una vera passione: avendo soldi e spazio ne comprerei un paio al mese. Ecco alcune meraviglie: inavvicinabili per lo più come prezzi, ma anche guardare gratifica, ed educa al bello. Queste sono creazioni di Rene Caovilla, Stuart Weitzman, Roberta Rossi. Viste a Venezia al Fontego dei Tedeschi.

E a proposito di Marina Rinaldi ( che io amo molto ma non mi posso permettere pesando …solo 48 chili, troppo poco per quei modelli !) sul Donna di Repubblica uscito ieri, sabato 25 marzo, c’è una bella intervista di Roberto Saviano ad Ashley Graham, modella americana ” oversize”. È la cover story di questo numero e il giornale la presenta come “Dialogo sulla bellezza”. A parte il fatto che il titolo trae in inganno perché vi si parla esclusivamente di bellezza femminile (mi si permetta l’obiezione, ma ultimamente tutti parlano di bellezza e si riferiscono al paesaggio, alle opere d’arte, ai borghi medievali e quant’altro…), e’ un intervista interessante, come sempre molto ben scritta da Saviano e lei, la modella, dice cose intelligenti e quasi del tutto condivisibili (e immagino piuttosto ben pagate da Marina Rinaldi di cui è testimonial ). Quello che mi è piaciuto di più è pero’ il modo in cui Saviano ha concluso il servizio. Lo riporto: “Sulla strada del ritorno cammino a passo spedito e penso alle parole che il giornale per cui Anna Politkovskaja scriveva, la Novaja Gazeta, le dedico’: ” Anna era bella e con il passare del tempo diventava sempre più bella, perché in età adulta dal viso inizia a trasparire l’anima”. Più passa il tempo più il corpo ci somiglia – osserva Saviano – lasciando traccia di tutto ciò che siamo: ecco, questa per me è la definizione più bella di bellezza “. In verità non  so se le signore oversize che incontro ogni mercoledì a Padova all’ambulatorio di Chirurgia dell’Obesità (che frequento da volontaria) si accontenterebbero di questa pur felicissima definizione, a me pare che abbiano tutte una gran voglia di poter recuperare la sospirata taglia 42. Il problema però con il passaggio dallo stile lacero dei pantaloni a quello lacero-contuso, non si pone più all’entrata nei medesimi; il problema semmai è quello di fuoriuscirne immediatamente sbucando fuori con ginocchi e piedi dalle ampie feritoie che possono provocare perdite dell’equilibrio, con vere e proprie cadute, non soltanto di stile.

Francesca Rocchi

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Sgarbi – Franceschini : uno pari.

Francesca Rocchi

Ieri alle 15

Il patrimonio culturale dell’ Italia e la capacità di promuoverlo.
Ai miei sette-otto lettori propongo qualche riflessione dopo aver letto il faccia a faccia tra il ministro della Cultura Dario Franceschini e Vittorio Sgarbi pubblicato dal Sette del Corriere della Sera di venerdì 17 marzo. Per inciso l’allegato è un numero quasi monografico con tanti articoli dedicati all’arte, ai musei, a mostre, eventi, restauri  ecc. Vorrei trovarne uno così in edicola ogni settimana.
Sgarbi non è un giornalista propriamente detto, Sgarbi è Sgarbi, per cui la cosiddetta intervista che lui fa a Franceschini inizia con un ‘doveroso’ auto-incensamento che comunque non danneggia affatto Franceschini …Dico questo perché io sono una ‘fan’ di Sgarbi MA ANCHE, come direbbe Veltroni, di Franceschini : non posso non notare il piglio sempre piuttosto competitivo con cui Sgarbi sfoggia la sua superiorità…Qui però non si percepisce aggressività, i due stanno in qualche modo facendo un gioco di squadra e io mi auguro, davvero, che sia un gioco vincente.
Si parla, nell’articolo, dei risultati conseguiti in questi quattro ultimi anni: i visitatori dei musei statali sono passati da 38 a 45,5 milioni. Si parla di promozione, di bonus, di incentivi, di valorizzazione di tutto il patrimonio, e di turisti da portare anche nei centri minori…Ad un certo punto (si tratta di un articolo di quasi sei pagine) Franceschini ricorda a Sgarbi il loro disaccordo sulle nomine di direttori non italiani nei musei. Sgarbi precisa la sua posizione, che non è cambiata. Cito testualmente: ” Insisto, hai sbagliato. Hai un esercito con bravi generali, hai venti posti, io cinque agli interni li darei…Mai la Francia nominerebbe un italiano a dirigere il Louvre…Quindi gli Uffizi vanno a un italiano, Capodimonte anche, sul resto puoi giocare, Bargello puoi darlo a un tedesco…”
Risponde Franceschini :” La prima volta la selezione ha individuato sette non italiani su venti, perché in Italia c’e’ una grande professionalità per la tutela ma i direttori di musei non hanno avuto il tempo di formarsi come manager, quel ruolo non c’era, era svolto artigianalmente da funzionari. Ora abbiamo nominato i secondi dieci e sono tutti italiani…”
E aggiunge più avanti ” …Oggi un turista che va in museo non si accontenta di vedere una bella collezione. Vuole vivere un ‘esperienza, vuole avere laboratori didattici, sistemi multimediali, caffetteria, ristorante..image.jpeg
Concludo qua, per i dettagli rinvio all’articolo. Ma vorrei tanto che i miei sette lettori veneti (mi rivolgo quantomeno a loro per motivi di vicinanza) se sono d’accordo con questa mia sintesi ‘perdano’ un pomeriggio per visitare il Museo Archeologico Nazionale di Adria : non ricordo se ha la Caffetteria e il Ristorante ma per il resto ha tutto : le collezioni, la bellezza, i percorsi didattici, le proposte, le conferenze, il coinvolgimento delle scolaresche…Una vera perla. E un’altra mezza giornata vorrei la dedicassero al Museo di Quarto d’Altino.(Prometto che riprenderò a pubblicare qualcosa qui su WordPress, che continua a far circolare i miei precedenti articoli senza farmi fare alcuna fatica, e prometto soprattutto tante fotografie 😊.)
Francesca Rocchi

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Obesita’, emergenza mondiale

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Parole per non ingrassare
“Di fronte a una persona che non ce la fa a perdere peso, mi chiedo sempre che errori commette nella comunicazione con se’ stessa, oppure di che cosa non parla, nemmeno con se’ stessa…Perché ci sono parole, frasi, suoni che ci mettono sulla via giusta o, viceversa, ci confondono o ci orientano in direzioni sbagliate, a noi estranee.
Ho scoperto che si ingrassa soprattutto quando si rimuginano parole che esprimono inadeguatezza, impotenza, quando si cova un senso di rassegnazione, oppure quando si e’ troppo duri con se’ stessi: simili sentimenti creano uno scenario interiore che, secondo molti ricercatori, e’ il più potente fattore ingrassante che esista.
Insomma c’e’ un vocabolario ‘speciale’ che utilizzano le persone in sovrappeso, un intero corredo di frasi killer che da sole possono produrre stati biochimici nel cervello in grado di farci ingrassare.”
Ho sempre creduto nella potenza della comunicazione e, in medicina, nella terapia della parola. Le parole sopra riportate sono di RAFFAELE MORELLI tratte dal libro “Pensa magro – le 6 mosse psicologiche per dimagrire senza dieta “.
E’ un manuale edito da Mondadori che consiglio non soltanto a chi vuole dimagrire ma a chiunque voglia liberarsi di abitudini o anche semplicemente di atteggiamenti negativi che lo tengono prigioniero e lo bloccano come un ‘armatura.

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Il Labirinto

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Il Labirinto
Se c’è una zona di Venezia che cerco sempre di evitare, è quella che io chiamo “Il Labirinto”: è, per intendersi, la parte più stretta del ‘pesce’, ovvero il restringimento che dovrebbe consentire il passaggio più breve, più rapido, dalla Riva degli Schiavoni, e successiva Riva della Ca’ di Dio, alla zona di Castello propriamente detta, quella che fiancheggia le mura dell’Arsenale e si affaccia poi sulla laguna Nord. Il tempo che si perde per consegnare i pacchi (in realtà non faccio proprio il portalettere, ma qualcosa che ci somiglia molto ;-)) tra andate e ritorni e tentativi ripetutamente falliti di ritrovare la strada, è pari a quello che si impiega per attraversare tutto Cannaregio. Il punto più fetente sta tra le Docce Pubbliche e Calle del Pignater, dove tu risali fiducioso la ‘Calle de Ca’ Erizzo’ che attraversa un ‘Ponte Erizzo’ che sbuca su una ‘Fondamenta Erizzo’ che prima risale e poi si rigira su per un ‘Ponte storto’ che ti riporta in una ‘Calle drio Erizzo’ …così che rognando e scramentando (in senso buono) dopo mezz’ora sei di nuovo al punto di partenza.
Una volta ho visto uscire dal ‘Labirinto’ un arabo, o forse un marocchino, con un asciugamano sulla spalla, tutto ben lavato e profumato (probabilmente era appena uscito dalle Docce Pubbliche) che correva terrorizzato e urlava ai passanti: “Arsenal ?? Arsenal ??” Forse era un lavoratore che doveva rientrare e si era perso…
Già, se mi perdo io che sono geneticamente veneziana e che, a furia di andar su e giù per Venezia, sono diventata un satellitare umano, figuriamoci il povero Mohammed…

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Anca el gato par che’l diga “No ghe ne posso piu’ de girar…”

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Gli internisti sanno tutto…

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Gli internisti sanno tutto e non fanno niente.
I chirurghi non sanno niente e fanno tutto.
Gli psichiatri non sanno niente e non fanno niente.
Gli anatomo patologi sanno tutto e fanno tutto, ma ormai e’ troppo tardi…

Circolava questa battuta all’Universita’ fino a pochi anni fa, e ottiene sempre un certo effetto quando la riporto anche se a volte io inverto gli internisti con gli psichiatri, perché’ anche questi ultimi in realta’sanno tutto come gli internisti, anche se il loro sapere naviga su un altro piano. Da un po’ di anni sto molto poco sui libri di medicina, purtroppo, e molto sulle carte e sui problemi dei pazienti. Il loro scontento e’ palpabile ma ad essere messa in discussione non e’ quasi mai la competenza degli specialisti, sempre o quasi quella dei medici di Medicina Generale. I medici di famiglia sono messi in croce perche’ da un lato le aspettative dei pazienti, grazie alle informazioni rese disponibili a tutti dai mass media e da internet, sono enormemente aumentate, dall’altro la disponibilità di ‘salute a buon prezzo’ e’ diminuita perche’ sono diminuite le risorse pubbliche. In mezzo l’armamentario burocratico fatto non più di carte ma di strumenti informatici sempre più frettolosi, freddi e poco ‘amichevoli ‘.
Tra i miei testi ho trovato la trascrizione di una Conferenza tenuta nel 1978 a Venezia, all’Ateneo Veneto, dal Prof. Arturo Ruol, allora Ordinario di Patologia Medica all’Università di Padova. Ne trascrivo solo un breve stralcio (nel complesso era piu’ di un’ora di conversazione) che trovo suggestivo e perfino un poco inquietante nella sua attualità.

LA POSIZIONE DEL MEDICO GENERALE NELLA SOCIETÀ ODIERNA .
Il Medico generale e il paziente.
” La posizione del medico generale di fronte al paziente non e’ facile. Il malato – edotto dalla propaganda e dalla stampa di divulgazione scientifica – oggi non va più dal medico con la fiducia trepida e affettuosa di chi cerca qualcuno che lo aiuti, non intende più venir curato, ma vuole guarire sempre e bene, attribuendo i risultati negativi alle qualità negative del singolo medico.
Non accetta più la figura del medico di un tempo, cui bastavano lo stetoscopio e l’apparecchio della pressione. Non accetta una medicina lenta, fatta di esami clinici protratti e poco numerosi, non accompagnati da alcun intervento attivo effettuato con tecniche sofisticate. Vuole subito – prima ancora di essere visitato – le radiografie, gli esami completi del sangue (magari senza sapere quali), le indagini più sofisticate della medicina nucleare. Si reca perciò subito dallo specialista.
Lo specialista, in questo caso, dovrebbe riferire il suo giudizio al medico generale, il quale ne dovrebbe tener conto, coordinandolo con le altre informazioni in suo possesso e con i rilievi da lui stesso effettuati.
Invece tra l’internista generale e lo specialista si e’ venuta a creare una specie di rivalità socio-economica. L’internista comincia a perdere il suo paziente e perciò comunica meno con lo specialista. Lo specialista si sente più a suo agio perché e’ stato proclamato esperto nel suo campo e presume che da lui il paziente riceverà cure migliori che dal medico generale.
E’ piuttosto raro che uno specialista richieda il parere di un medico generale: in genere egli si rivolge preferibilmente ad un altro specialista. [Ricordo il caso di mia madre che anni fa fu colpita da una malattia reumatica molto dolorosa ma curabile, sospettata e poi diagnosticata dal suo medico di base che, nel corso di una conversazione telefonica con uno specialista fu da questi redarguito e offeso, in mia presenza, perché a detta di quest’ultimo si sarebbe trattato sicuramente di una forma neoplastica, anche piuttosto avanzata. N. d. r. ]
Gli specialisti poi sono incapaci di operare senza l’ausilio di tecniche sofisticate. Ne deriva che il malato viene preso in cura da un gruppo di medici anziché da un medico solo, e viene sottoposto a una serie di esami non tutti indispensabili, non tutti innocui, non tutti bene sopportati.
Forse molti malati sono soddisfatti di avere tanti medici e tanti esami a loro disposizione, ma non si rendono conto che le malattie – soprattutto croniche e soprattutto nelle persone anziane – sono raramente isolate. Molto spesso la patologia e’ multipla e complessa. Il pericolo per il paziente e’ che uno specialista anche di valore, consideri un aspetto del quadro morboso di sua competenza e trascuri gli altri, anche preminenti per importanza.
Solo il medico generale può impostare fin dall’inizio gli esami che occorrono per una diagnosi, solo il medico generale stabilisce il reale significato dei reperti, solo il medico generale indica una gerarchia e una priorità tra i problemi da affrontare.”

Prof. Arturo Ruol, Ordinario di Patologia Medica all’Universita di Padova, 1978.

A cura di Francesca Rocchi.
Fotografie Francesca Rocchi.

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Omaggio a Niccolò Tommaseo…

20150109-130418.jpg9 gennaio 2015
Qualche giorno fa, in una fredda e uggiosa mattina, durante una delle mie solitarie maratone per Venezia (impostemi, tengo a precisare, dal datore di lavoro che per suo sistema mi fa avere gli indirizzi per la consegna dei pacchi sempre all’ultimo momento), sono stata rallentata nel mio spedito procedere nella stretta calle detta “Zaguri” che conduce in Campo Santo Stefano, da una vociante ma per la verità composta scolaresca, proveniente (mi e’ stato chiaro dopo qualche attimo) da Treviso.
Appena un poco infastidita dall’ingorgo, che in quel luogo e’ peraltro assai frequente, ma anche affettuosamente incuriosita dai ragazzi della Gioiosa Marca in gioiosa gita scolastica, ho teso l’orecchio verso la giovane accompagnatrice che era poi la loro insegnante, per cogliere qualcosa e magari poter carpire qualche informazione, nella consapevolezza di non conoscere abbastanza di Venezia e del suo immenso patrimonio culturale e artistico.
Queste sono le parole che ho sentito : ” Quello la’ in fondo ragazzi e’ Campo Santo Stefano e quello che voi vedete in mezzo al campo e’ il famoso monumento a Niccolò Tommaseo detto il Cagalibri”.
I ragazzi non hanno riso ma sono rimasti in perplesso silenzio. Innanzitutto per cogliere questa raffinata spiegazione avrebbero dovuto a parer mio trovarsi in prossimità del monumento, o almeno a una distanza utile per capire che l’epiteto trova la sua giustificazione nella visione dal basso del famoso Patriota e del mucchio di libri che stanno alle sue spalle e par quasi gli siano usciti dal posteriore.
Aspettavo qualche ulteriore precisazione dall’insegnante, per esempio di sapere chi era il Tommaseo, per che cosa e’ passato alla storia, che cosa ha fatto di così importante per aver avuto quel bel monumento. Infine, ‘last but not least’, perche avrebbe fatto quell’ indigestione di libri. Invece nient’altro e’ uscito da quella bocca.
Per quei ragazzi che, non si sa mai, dovessero incontrarmi qui sulla rete, preciso allora che Niccolò Tommaseo e’ stato ed e’ una figura importantissima nella storia di Venezia . Fece parte della rivolta che il 22 marzo 1848 torno’ a far vivere la Serenissima dopo oltre 50 anni di dominazione straniera (francese e poi austriaca) . A capo della rinata Repubblica fu Daniele Manin ( per inciso, e sempre ad uso degli studenti di Treviso e della loro insegnante, il suo monumento si trova qualche campo più in la’…)
Altri Patrioti parteciparono a quell’ eroico episodio: i loro nomi sono noti ai veneziani soprattutto di terraferma perché sono entrati nella toponomastica di Mestre e soprattutto di Marghera. Non mi aspetto che si conoscano tutti questi nomi, anch’ io che pure sono sensibile all’argomento li conosco soltanto in parte e in modo approssimativo . Ma su Manin e Tommaseo non transigo e mi aspetto che qualche parola in più del “Cagalibri” un’insegnante di Scuola Media – di Treviso ! – la debba conoscere, e dire. Per questo sono a un certo punto sbottata e ho chiesto, in veneziano : “Tutto qua queo che la ghe dixe del Tommaseo? No saria el caso de spiegarghe qualcossa de più? ”
Solo allora i ragazzi sono scoppiati a ridere e hanno riso, ridacchiato e mormorato a lungo. Ne sono stata felice. E credo anche il Tommaseo.
Quanto all’insegnante, non subito ma dopo qualche attimo mentre riprendevo il trotto lasciandomi alle spalle Santo Stefano, ho sentito che farfugliava qualcosa del tipo ” Non si preoccupi lei, non ho detto niente perche’ ancora non ci siamo arrivati col programma…”

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Cambiamenti climatici : in trecentomila marciano a New York

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Il quotidiano La Stampa ha dedicato oggi un ‘intera pagina alla grande manifestazione per il clima che si e’ tenuta a New York e ha visto la partecipazione di circa trecentomila persone. Sul giornale una bella foto in prima pagina e il richiamo per l’articolo di Paolo Mastrolilli a pg. 14. Al grande corteo, a Manhattan, hanno partecipato tra gli altri il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon, l’ex vicepresidente Al Gore e attori noti come Leonardo Di Caprio, sempre in prima linea sulle tematiche ambientali, ed Edward Norton.
Il sindaco di NewYork Bill De Blasio ha promesso che la sua citta’ ridurrà le emissioni di gas serra dell’80 % entro il 2050. Per arrivare a questo e’ pero’ necessario che “tutti mettano mano al portafoglio”. Mastrolilli ha precisato che il 2014 si prepara a battere il record di anno più caldo di sempre, secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration.

Sempre con richiamo in prima pagina La Stampa ospita un commento del metereologo Luca Mercalli, che sullo stesso giornale pubblica una sua rubrica settimanale ogni mercoledì. Perché dovremmo noi italiani, si chiede Mercalli, scendere in piazza contro il riscaldamento globale quando abbiamo avuto un’estate piovosissima, una vendemmia a rischio, i pomodori marciti negli orti e spiagge dell’Emilia Romagna più simili a quelle del Mare del Nord ? Per lo stesso motivo per cui gli svedesi hanno avuto un’estate rovente, con 35 gradi a luglio. Il riscaldamento globale non e’ un’ invenzione (Mercalli ha dedicato all’argomento piu di una pubblicazione) e i cambiamenti climatici vanno valutati, appunto, in senso globale. Alla banchisa artica mancano in questo momento oltre un milione di Km quadrati rispetto alla media, e questo altera gli scambi di energia tra oceani e atmosfera creando quelle anomalie del clima che sempre più frequentemente si verificano, con zone eccessivamente piovose e altre troppo calde e secche.

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In occasione del World Rhino Day

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In occasione della “World Rhino Day”, la Giornata Mondiale del Rinoceronte, pubblichiamo uno stralcio dell’intervista rilasciata un anno fa da Davide Bomben, presidente di AIEA – Associazione Italiana Esperti d’Africa, ad Alessio Tricani della rivista on line CTZEN, dal titolo “Bracconaggio, business miliardario in Africa. Così i terroristi islamici finanziano le cellule.”
L’intervista risale al 12 Novembre 2013 e lungi dall’essere superata si e’ invece rivelata, alla luce delle recenti terribili esecuzioni dell’Isis, assolutamente attuale e premonitrice.

” L’assedio dello scorso settembre al Westgate Mall, uno dei centri commerciali più esclusivi di Nairobi – dice Davide Bomben – mostra come il terrorismo fondamentalista di matrice islamica sia ancora presente e continui a operare. L’Europa probabilmente non ha percepito la minaccia incombente data la distanza geografica col vecchio continente, anche se oggi i fatti che accadono in Africa hanno sempre maggiori ripercussioni sull’Europa.

L’organizzazione terroristica in questione – prosegue Bomben- una volta confinata solo in Somalia, prende ora una dimensione sempre più transnazionale soprattutto dopo la sua affiliazione, nel 2012, ad Al-Qaeda e grazie alla provenienza degli affiliati: come dimostrano le nazionalità sui passaporti, quasi del tutto statunitensi e nord europee, in particolare Svezia, Norvegia, Danimarca. Fonti di sicurezza nazionali stimano diverse migliaia di miliziani Shabaab (l’organizzazione responsabile dell’attentato) operanti in Scandinavia fra cui diversi assi come Abu Muslim, giunto in Europa negli anni ’90 tramite richiesta di asilo e ottenendo la residenza dopo. Questi gruppi, quindi, si sono istaurati dopo i flussi migratori del ’91 all’epoca del governo repressivo di Siad Barre.
Per mantenere in piedi e far funzionare la macchina terroristica servono ingenti finanziamenti, non di sole droghe e armi, bensì l’attività di bracconaggio che fornisce il 40 % delle risorse economiche.”
L’attività di bracconaggio quanto può fruttare in termini monetari? – chiede ancora l’articolista Alessio Tricani .
«Il bracconaggio è il quarto business illegale più lucrativo dopo le armi, la droga e gli esseri umani (compresa prostituzione, schiavitù e traffico di organi). Il prezzo alla vendita dei due prodotti più lucrativi derivanti dalle attività legate al bracconaggio e’ di 800 dollari al chilo per le zanne d’avorio (circa 30 chili a zanna) e 60mila dollari al chilo per il corno di rinoceronte (più o meno sette chili per due corna). Kenya e Tanzania hanno recentemente dichiarato di aver perso oltre 30mila elefanti in cinque anni pari a un introito finale di un miliardo e 440 milioni. Nel solo Sudafrica negli ultimi cinque anni sono stati uccisi 2.370 rinoceronti pari ad un introito finale di quasi un miliardo. Anche ipotizzando che solo l’un per cento possa essere andato in tasca a organizzazioni così capillari come quelle terroristiche, stiamo parlano di cifre immense capaci di muovere moltissimo in un continente così ampio e diversificato come l’Africa».
“Il bracconaggio e’ un rischio economico e sociale: Paesi che non hanno più una fauna selvatica hanno perso l’attrattiva del turismo internazionale che in Africa da un lavoro a tre milioni di persone e impiega, nell’indotto, almeno il triplo del personale. Perdere specie totemiche come il rinoceronte o il leone significherebbe un danno ecologico, ma anche d’immagine, per Paesi che hanno un Pil fortemente supportato dal turismo. Per farla breve, la nostra non è una battaglia per divertimento o per convinzioni etiche, ma una ferma intenzione di difendere la biodiversità dei Paesi dove operiamo e la volontà di preservare posti di lavoro. “

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Ibiscus in the rain

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Non si lascia scoraggiare dalla pioggia l’Ibiscus del mio giardino. E’ un modello di tenacia, di inossidabile senso del dovere.
Giorno dopo giorno, dalla fine di giugno (quest’anno dalla meta’ di giugno) fino ai primi di ottobre, fiorisce, fiorisce, fiorisce… E tanti sono i fiori sbatacchiati e deturpati nella loro bellezza dall’acqua che cade impietosa giorno dopo giorno, tanti sono quelli che la pianta imperterrita ributta a rimpiazzare quelli persi. Molti non fanno neanche in tempo ad aprirsi che sono già appassiti. Spiace per l’estetica, ma soprattutto per le api, che quest’anno trovano pochissimo da mangiare.

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Tardano a uscire, le api, e quando finalmente si presentano, riscaldate da un sole che può durare un paio d’ore ma certi giorni soltanto un quarto d’ora, non si muovono con il solito stile. Sembrano nervose, non si fermano più di tanto sui fiori, si posano appena e schizzano velocissime su altri fiori. Sembrano dire: “Accidenti, anche qua non c’è più niente…” Che sia soltanto una mia proiezione? In montagna non ci sono più fiori nei campi. Ho visto strane arnie-condominio inglobate dentro una specie di casotto creato dall’apicoltore per proteggere le api dalla pioggia. Saranno protette, ma sulla fioritura l’apicoltore nulla può e da come si e’ messa quest’anno la stagione molto probabilmente resteremo senza miele.
D’altronde se ne e’ già parlato abbondantemente, la moria di api era già in corso da qualche anno, grazie alle sostanze tossiche usate in agricoltura, persino il Time se ne e’ occupato, il tempo sfavorevole e’ soltanto l’ultimo, in ordine di tempo, degli eventi avversi. Comunque sia, resteremo senza miele.

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L’Ibiscus e’ considerato presso alcuni popoli il fiore dell’amore. Da noi e’ utilizzato per produrre il “Karkade’”, ottima bevanda dal sapore acidulo usata una volta anche come tintura per conferire ai capelli riflessi ramati.

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Breaking News: 10,000 signatures in 11 hours, for our #Lagooncalling!

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Gruppo 25 aprile

10.000 firme in 11 ore, oggi! 10,000 more signatures in 11 hours, today, after our press release:

http://www.change.org/p/stop-the-plan-to-dredge-the-maxi-canal-contorta-in-venice-before-it-s-too-late

canalettoMap

There is only one Lagoon we call Home. Help us saving our Lagoon.

Nous n’avons que cette lagune, qui est notre maison. Aidez-nous à la sauver.

Nur eine Lagune nennen wir “Zuhause”. – Helft uns, sie zu retten.

We are a group of 200 venetians, “native” and not. Whoever truly loves Venice is welcome here, irrespective of nationality and religion: this has always been the secret of Venice, since the middle age: its capacity to attract the best energies from all over the Mediterranean Sea.

Why are we launching this call, and why in English, too? Venice already has the status of “world heritage” but this cannot be interpreted as a mere duty to protect its stones: due to its unique environment, Venice is a pearl which can only be saved if…

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